(Sessa Aurunca 148 o 147 - 102 o 101 a.C.) poeta latino. Nato da una ricca e nobile famiglia, quando si trasferì a Roma godette dell’amicizia di uomini eminenti, come Scipione Emiliano e Lelio. È considerato l’iniziatore del genere satirico: con lui la satira, già coltivata in forma drammatica e poi, da Ennio e Pacuvio, nella forma di componimento polimetrico di vario argomento, acquista il suo carattere di critica dei vizi umani, abbandonando progressivamente la varietà metrica (trimetri giambici e settenari trocaici) in favore dell’esametro, che resterà il tipico metro satirico. Della sua abbondante produzione, che comprendeva 30 libri, restano meno di 1300 versi, dai quali emerge un quadro vario e suggestivo della società del tempo, vista da una severa coscienza morale, non aliena da impennate bizzarre. Nella satira di L. si afferma una poesia intimista, ricca di umanità, bene inquadrabile nel clima spirituale del circolo scipionico. Orazio, pur riconoscendo la suggestione dell’esempio luciliano e imitandone alcuni spunti (come il motivo del racconto di viaggio), gli rimproverò un’eccessiva acredine personalistica; Giovenale presentò L. nel gesto di brandire la spada contro i vizi della città.